IL PRETORE Letti gli atti del procedimento penale n. 1671/91 nel quale Teresi Filippo e' imputato del reato previsto dall'art. 570, primo e secondo comma, n. 2, del c.p. per avere fatto mancare i mezzi di sussistenza al coniuge non legalmente separato per sua colpa, in Palermo fino al 19 settembre 1990, O S S E R V A Le parti non hanno offerto alcuna prova in ordine ai fatti oggetto della contestazione. Infatti, ne' il pubblico ministero, ne' la parte civile (peraltro costituitasi soltanto al dibattimento), ne', infine, l'imputato hanno richiesto, nel termine prescritto a pena di inammissibilita' dagli artt. 468 e 567 del c.p.p., l'esame di testimoni in ordine al fatto storico oggetto della contestazione. Peraltro, non era, in conseguenza, piu' ammissibile neppure l'esame, in qualita' di teste, della persona offesa, dal momento che, cosi' come ha avuto modo di rilevare anche la suprema Corte con la sentenza 12 luglio 1990 imp. Malena, le disposizioni contenute negli artt. 468, primo comma, e 567, secondo comma del c.p.p. (che impongono, appunto, alle parti, a pena di inammissibilita', di depositare entro un termine perentorio le liste dei testimoni, periti e consulenti tecnici) mirano a soddisfare una esigenza di "discov- ery", al fine di evitare prove a sorpresa e consentire alle altre parti di chiedere l'ammissione di testi, periti e consulenti tecnici a prova contraria, che, deve essere rispettata anche quando la richiesta di esame testimoniale riguarda la persona offesa dal reato, non potendo sopperire, poi, alla mancata inserzione nelle liste testimoniali, la citazione della persona offesa medesima, poiche' tale citazione e' destinata all'adempimento di un dovere di informazione ed ha lo scopo di consentire al soggetto l'esercizio dei diritti e delle facolta' spettantigli, ma non svolge la funzione di garantire la tutela del principio della "discovery". In conseguenza, quindi, della mancata offerta di prove, il giudicante e' privo di qualsiasi conoscenza in ordine ai fatti di causa e non potrebbe motivare adeguatamente la decisione in ordine alla contestazione mossa dal pubblico ministero nel presente giudizio se non disponendo l'acquisizione d'ufficio di mezzi di prova. Senonche', l'art. 507 del c.p.p., consente al giudice di disporre d'ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova soltanto quando e' terminata l'acquisizione delle prove offerte dalle parti e non, quindi, quando nessuna prova sia stata richiesta dalle parti medesime. Tale interpretazione, suffragata inequivocabilmente dal dato letterale della norma, e' stata costantemente ribadita tanto dalla dottrina, quanto dalla giurisprudenza (si veda, in proposito, Cass. 3 gennaio 1991, n. 30, imp. Ventura che espressamente ha affermato che il potere, di carattere eccezionale, di cui all'art. 507 del c.p.p., "e' esercitabile solo al termine della acquisizione delle prove richieste dalle parti e non quando nessuna prova sia stata richiesta nei termini di cui all'art. 468 del c.p.p.") e deve essere riconosciuta, quindi, quale "diritto vivente". Per l'effetto, tuttavia, il giudicante rileva che appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del citato art. 507 del c.p.p. in riferimento, per un verso, all'art. 76 della Costituzione, sotto il profilo dell'eccesso di delega, e, per altro verso, in riferimento agli artt. 3, 101, 111 e 112 della Costituzione. Ed invero, la direttiva n. 73 della legge di delega 16 febbraio 1987, n. 81, per la emanazione del nuovo codice di procedura penale, concedendo al giudice piu' ampi poteri di iniziativa probatoria rispetto al testo della precedente legge di delega del 1974, prevede espressamente il "potere del giudice di disporre l'assunzione di mezzi di prova". Si tratta, quindi, di una direttiva che nella sua chiara formulazione e' tale da far ritenere che si intendeva, comunque, attribuire al giudice un ampio potere di disporre l'assunzione di mezzi di prova secondo le necessita' evidenziate dal processo. Il Governo, invece, come si e' visto, ha subordinato l'esercizio del potere in questione alla preventiva acquisizione di prove che e' in facolta' delle parti offrire o meno, come si evince dall'inciso "Terminata l'acquisizione delle prove .." e dall'aggettivo "nuovi" (riferito ai mezzi di prova) contenuti nell'art. 507 del c.p.p. Tale limitazione e la subordinazione all'esercizio di facolta' di parte non trovano alcun riscontro nei principi e criteri dettati dal legislatore delegante e risulta, quindi, arbitraria rispetto alla legge di delega sopra richiamata. La norma in esame, peraltro, puo' essere sospettata di incostituzionalita', come si e' detto, anche sotto altri profili, ed in particolare: a) in riferimento all'art. 3 della Costituzione che sancisce il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. L'esito del processo nei confronti di imputati che si trovano nella medesima posizione giuridica, ma che sono giudicati separatamente, viene affidato, infatti, ad una decisione occasionale ed assolutamente discrezionale (per non dire arbitraria) dell'organo dell'accusa, il quale, senza alcun obbligo di motivazione (almeno all'interno del processo), puo' omettere di richiedere l'ammissione di prove, ed, in tal caso, non e' consentito al giudice l'adozione di alcun provvedimento (obbligatoriamente motivato - cfr. art. 111 della Costituzione e 125 del c.p.p. -) che possa consentire di recuperare una posizione di parita' processuale tra i cittadini-imputati disponendo, d'ufficio, quelle prove che si appalesano necessarie per conoscere del fatto contestato; b) in riferimento all'art. 101 della Costituzione, dal momento che la subordinazione del potere del giudice all'esercizio meramente discrezionale di un potere di parte appare violare il principio di esclusiva soggezione alla legge del giudice; c) in riferimento all'art. 111 della Costituzione nella misura in cui non consente al giudice di pronunciare una sentenza motivata (sostanzialmente e non soltanto formalmente sulla scorta della totale assenza di prove offerte) di assoluzione perche' il fatto non sussiste o perche' l'imputato non lo ha commesso; d) in riferimento, infine, all'art. 112 della Costituzione nella misura in cui, di fatto, consente al pubblico ministero (che ometta immotivatamente di richiedere l'ammissione di prove) l'elusione sostanziale dell'obbligo di esercitare l'azione penale. La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 507 del c.p.p. sopra evidenziata, e', altresi', rilevante nel presente processo perche', per la assoluta mancanza di prove offerte dalle parti, vi e', come osservato sopra, la necessita' per il giudicante di disporre di ufficio mezzi di prova. Conseguentemente, gli atti devono essere immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale ed il giudizio deve essere sospeso.